Vita di Leo

Salerno, Bagni – 2000 photo by Marco Valente

Cazzo di spiaggia, questa. Troppo pulita, troppo perfettina. Si trovasse mai niente da mettere sotto i denti. Che so? un angolo di tramezzino, il fondo croccante di un cono gelato, un’alice sgusciata via da un trancio di pizza. Macché, ’sti stronzi dello stabilimento tirano su ogni cosa coi loro fottutissimi rastrelli di metallo, e se poco poco faccio per avvicinarmi mi lanciano contro le aste degli ombrelloni e mi prenderebbero volentieri anche a calci se fossero un tantino più svelti. Stronzidimmerdarottinculo. Così mi tocca girare tutta la notte fra i cassonetti della spazzatura, ma pure lì… è la stagione balneare, cazzo, ci sono i tedeschi, e per il comune di Rimini tutto deve essere lindo e pinto; uno specchio, insomma, se no come farebbero a nascondere lo schifo che vedo fuori dai locali tutte le sante notti?
La settimana scorsa ho trovato una pasticca rosa che odorava di buono e dolce che chissà chi l’aveva persa. Avevo una fame da lupi, così mi sono detto: cazzo, meglio di niente! Dopo due ore avevo ancora il cazzo dritto e rosso, la bava alla bocca e mi son fatto il palo di un lampione tanto ero fuori di testa. Avevo i peli del corpo pure loro così dritti e rigidi, che se fosse piovuto ad anellini di pasta all’uovo altro che mago Forrest dei miei coglioni: avrei fatto faville in qualsiasi spettacolo del sabato sera, telegiornale di Emilio Fede compreso.
Comunque, oh, mica va sempre così, eh? Sennò da quel dì che avrei stirato le zampe. Capita spesso che qualche fighetto testadicazzo, quando va a buttare la spazzatura in macchina, si dimentica che in curva non c’è cristiddio che riesca a tenere fermo un sacchetto sul cofano o sul tetto. Lo stronzo. Certo, al signorino fa troppo schifo di metterlo nel bagagliaio: hai visto mai che poi la tipa coscialunga che deve scorrazzare per tutto il lungomare prima di dargliela, s’incazza per il tanfo e lo manda affanculo senza manco fargliela vedere? Be’, a me mi frega un cazzo della puzza: schiatto la plastica, tiro tutto fuori e mi faccio una cena coi controcazzi. Dopo sono così zeppo che c’ho la pancia a forma di tamburo, un fiato che diotifulmini e l’odore di un topo di fogna. ’Sti cazzi! Sto da dio. E poi a certe tipe la cosa le fa sbavare da matti e delle notti, prima che arrivi l’alba, riesco a farmene anche tre o quattro. Perché, modestamente, per queste faccende io c’ho naso, e l’odore della fica in calore lo sento a chilometri di distanza.
Va così. Mi acquatto nell’ombra di un portone o al riparo di una macchina in sosta; non appena adocchio la pollastra di turno mi schiaccio ancora di più a terra per non farmi scoprire, e poi… zzannn! Mi piace proprio quando nel piombargli addosso sgranano gli occhi e quasi gli prende un colpo. Certo, qualche graffio e qualche morso lo rimedio, soprattutto se la stronza è grande e grossa, ma poi non c’è verso: cedono tutte, e io le inchiodo al suolo con un andirivieni del cazzo così duro e pompato che alla fine fuggono via stravolte con la coda fra le gambe. Be’, mica tutte: dipende dal grado di troiaggine acquisito.
Due giorni fa, per esempio, m’è capitata a portata d’uccello una tipa che sembrava appena uscita da un salottino dei piani alti. Giovane, giovane; tutta in tiro; due occhioni smarriti pieni di luce e desiderio; una voglia di fottere che gli si leggeva anche al buio. Oh, insomma, in fondo non era poi questo granché, ma troia lo era senz’altro. Quando ho iniziato a farle il servizietto dovevate sentirla, era uscita fuori senno. A un certo punto si sono aperte le persiane del primo piano e si è affacciata una vecchia rincoglionita incazzata come un pavone che ha cominciato e non la smetteva più. Via di lì, sporcaccioni – urlava – Basta! Non se ne può più. Via, via! C’ha tirato in testa pure una brocca d’acqua, la rimbambita. Ecchecazzo, ho detto io, ma che si trovasse pure lei uno col fegato di chiavarla invece di stare a rompere i coglioni a noi che ce la stavamo spassando un mondo. Sia come sia, abbiamo dovuto sloggiare, ma la nanerottola ormai era partita, e dietro un angolo un po’ più riparato abbiamo ripreso a farne di cotte e di crude. Ora, mentre ci sbattevamo alla grande e con molto gusto da almeno mezz’ora, sono sbucati dall’ombra due o tre tipacci che richiamati dalla cagnara di questa rizzacazzi c’avevano tutte le intenzioni di partecipare alla festa. Oh, di solito io me ne sto per conto mio e a parte le passere di passaggio non dò confidenza a nessuno, però la mignotta sembrava proprio che di problemi non se ne facesse affatto, così perché dovevo farmene io? Ce la siamo lavorata in quattro, uno dopo l’altro. Sarà stata anche piccola e tracagnotta ma quanto a resistenza non ne aveva per nessuno. Che troia, ragazzi! Però lo devo a lei se adesso sono al gabbio; be’ certo, anche alla vecchiaccia isterica: chi se ne era accorto della pula? Ci hanno presi alla sprovvista, con i calzoni calati, non so se mi spiego, impacchettati ben bene e caricati dentro il furgone. Solo uno è riuscito a sfangarla: gli staranno ancora correndo dietro, gli stronzi.
Ad ogni modo, ormai sono qui e la vedo nera, nera. La stronzetta dentro c’è rimasta solo poche ore, giusto il tempo di avvertire la famiglia, e poi via: certa gente cade sempre in piedi, mica come noialtri morti di fame. Dietro le sbarre fa un caldo assurdo e la cella è talmente piccola e fetida che non c’è verso di evitare di crollare esausto in una pozza di piscio o peggio. Il tizio che una volta al giorno viene a portarci la sbobba è proprio stronzo e ci gode a stuzzicarci e a prenderci per il culo. Prega che non esca di qua, – gli ho ringhiato ieri sera – perché quant’è vero iddio te la faccio pagare, culodimmerda! Stamattina, però, se non è crepato d’infarto poco c’è mancato. Credeva che dormissi o che magari ero drogato, perché neanche quando m’ha sputato in faccia mi sono mosso, nemmeno quando ha preso a colpirmi col bastone sulle costole. Appena si è abbassato per vedere meglio, però, gli sono saltato su davanti urlando come un pazzo. Non avete idea. Ha fatto una piroetta all’indietro che neanche un tuffatore professionista, il cappello gli è volato via dalla zucca pelata e la ciotola con la brodaglia se l’è versata sui calzoni. Uno spettacolo, cazzo. A me, poi, non poteva fare proprio niente, tanto la faccia se l’era già giocata perché l’altro sorvegliante ha cominciato a dare di matto e sbellicarsi dalle risate. M’ha guardato storto, certo, e io chiaro che non ho mangiato, però vuoi mettere il gusto?
Oggi comunque è giorno di visite, e quindi è meglio che stia un po’ tranquillo e che mi dia una ripulita. Se voglio avere almeno una chance di uscire di qui farei bene a rispolverare la maschera del tipo mansuento, tanto per fortuna intelligente lo sono di mio. Il tipino giusto, a ogni modo, l’ho già individuato.
– Guarda mamma, è come il commissario Rex! Non so un cazzo di questo Rex di merda, ma è evidente che sta indicando me e a me va bene lo stesso. Forza bello, portami via da questo letamaio, eddài ancora uno sforzo. Raspo la grata con la zampa destra, abbasso le orecchie, scondinzolo convinto, guaisco con intenzione e verso ettolitri di lacrime per rendere umidi e luccicanti gli occhi.
Andata, cazzo, e anche se il tizio al volante non sembra granché convinto mi hanno caricato nel bagagliaio dell’auto. Di sicuro il grassone starà pensando che gli toccherà alzarsi tutte le sante mattine alle sei per portarmi a fare la passeggiatina igienica: don’t worry, bestiolina, io piscio e spetazzo quando cazzo mi pare, mica mi serve il lasciapassare. Tranquillo. Ah, questa è bella, stanno dicendo che ho bisogno di un bagno – Mamma, Rex ha bisogno di un bagno! Sì, col cavolo. Aspetta che arriviamo a casa, frugolino, e vedrai che fuga, tanto se non vado io fra un po’ mi caccerà via il tuo paparino qui. Lo so, ci sono già passato grazie, ma l’autostrada non è il mio ambiente ideale. Certo che lo faccio il bagno, stronzetto, ma a bagnarsi sarà solo il tuo naso. E poi mi chiamo Leo, testina di cazzo, non Rex.