Mondo in Blue – The Blue Panorama Magazine mar/apr 2011

Mombasa. L’isola del paradiso

Può sembrare strano, ma c’è stato un tempo in cui nessuno si sarebbe mai sognato di dare a Mombasa un appellativo del genere. La città venne fondata dagli arabi nell’XI secolo per garantirsi uno scalo importante per il mercato degli schiavi e dell’avorio. Il suo nome era allora Manbasa ma in lingua kiswahili venne presto ribattezzata Kisiwa Cha Mvita, ovvero “isola di guerra”, e non c’è da stupirsene perché per la sua conformazione l’isola è sempre stata al centro di contese feroci che nei secoli hanno visto dilaniarsi in conflitti sanguinari arabi, portoghesi e inglesi. Mombasa infatti sorge su un’isola al centro di un’ampia insenatura formata dal delta di due fiumi, il Kilindini ed il Tudor, e offre un attracco ideale per le navi. Ancora oggi Mombasa basa la propria economia, oltre che sul turismo, sui traffici marittimi diretti verso l’Oceano Indiano. Del suo tumultuoso passato Mombasa conserva fortunatamente solo una grande mescolanza di razze e culture e la città vecchia, assolutamente da visitare anche se la meta prediletta del turismo di tutto il mondo è costituita dalle sue splendide spiagge. Il centro di Mombasa è un labirinto di vicoli e stradine ombreggiati dalle caratteristiche abitazioni swahili le cui finestre sono ornate dalle splendide musciarabia lignee di influenza ottomana. Ovunque l’animazione e il vociare di botteghe artigiane e di pittoreschi mercatini dove si può trovare davvero di tutto. Tra le cose più interessanti da visitare c’è sicuramente il Fort Jesus, un complesso fortificato edificato nel 1593 dai portoghesi e che tutte le dominazioni che a un certo punto hanno avuto voce in capitolo su Mombasa si sono ben guardate dall’ignorare. Gli inglesi ne hanno fatto una prigione, l’attuale amministrazione uno straordinario museo della cultura locale, ma tutte le sere Fort Jesus torna ad essere il baluardo che fu grazie a uno spettacolare allestimento che ne ricorda con suoni e luci i trascorsi bellici. Anche l’architettura religiosa di Mombasa ha registrato le stratificazioni di cultura dell’isola. Indubbiamente quella islamica è la più rappresentata. Sono moltissime le moschee che merlettano Mombasa con i loro minareti. La più famosa e antica è quella di Mandhry, della fine del ’500, ma da vedere sono anche la moschea Basheikh dello stesso periodo e la Baluchi in Makadara road. C’è poi un tempio Parsi su Kenyatta avenue e un tempio Jain in Langoni Road. Il tempio Swaminaryan, con spledidi pannelli colorati che illustrano le reincarnazioni del dio Vijnu, si trova in Hailé Sélaissié road mentre in Nkrumah road si trova il Lord Shiva Temple, un tempio indù dedicato a Shiva con un interessante giardino di sculture dove troneggiano il dio elefante Ganesh e due leoni in stucco. Su questa strada è possibile incontrare anche la Cattedrale Cattolica dello Spirito Santo e quella anglicana; il tempio Sikh si trova invece in Mwangeka road. Per lo shopping ci si può dirigire verso Moi Avenue dove nei pressi si trovano il mercatino del legno, quello di Makupa delle stoffe, negozi, librerie e gioiellerie.  Uscendo dal centro e dalla storia di Mombasa si ha solo l’imbarazzo della scelta: nord o sud? Il richiamo è quello del mare. Acque cristalline, sabbia impalpabile e una vita esuberante e stupefacente come solo i tropici e la barriera corallina sanno offrire. Le spiagge più belle sono sulla terraferma e si estendono in entrambe le direzioni. A nord la costa si allunga fino a Malindi ed è sicuramente uno dei tratti più spettacolari del litorale africano. La prima spiaggia da tenere in considerazione è Nyali Beach; da visitare il Mamba Village, una classica crocodile farm. Più oltre si estendono gli arenili di Kenyatta e Bamburi beach, dove nei pressi si può visitare il Mombasa Marine Park. Seguono Shanzu beach, Mtwapa e, perfette per le immersioni, Kikambala e Vipingo. Ormai in vista di Malindi si trovano Kilifi, con le rovine di un villaggio swahili immerso nel verde, e Watamu, spiaggia dove le tartarughe vengono a deporre le uova e dove nelle vicinanze si trovano il Marine National Park e la riserva naturalistica di Arabuko. A sud di Mombasa le spiagge più note sono quelle di Tiwi e di Diani. Diani Beach è una bellissima spiaggia tropicale che si estende per 13 km. La sabbia è bianchissima e il litorale è orlato da grandi palmeti: un sogno. Immergersi nelle acque di Diani, protette da una bellissima barriera corallina, costituisce un’esperienza impossibile da dimenticare e la sera ci si può lasciare andare alle suggestioni di una frizzante mondanità internazionale. Più tranquilla è invece Tiwi Beach, perfetta per i veri appassionati di immersioni.

Il cuore pulsante del Continente Nero
Mombasa è forse il miglior punto di partenza per visitare le straordinarie risorse naturalistiche del Kenya. Dei parchi marini s’è già detto, ma come dimenticare l’Africa selvaggia del Parco Tsavo, di Amboseli o del Masai Mara? Dormire in un lodge o in un accampamento nel cuore della savana è una delle esperienze più emozionanti che si possa provare, difficile da dimenticare. Non per nulla è stato coniato il termine “mal d’Africa”.

 

Costa Azzurra. Un giardino aperto sul mare

Noblesse oblige. Se una terra potesse parlare, questo è forse ciò che direbbe il tratto di costa francese racchiuso fra Mentone, al confine italiano, e Hyères. E il tono sarebbe di quelli che non ammettono repliche. Come darle torto del resto? Questa parte di Mediterraneo è un vero e proprio paradiso. Clima mite tutto l’anno, panorami eccezionali, una luce assolutamente incomparabile. E ancora, vita mondana, cultura, arte, mercatini: è davvero impossibile non innamorarsi della Costa Azzurra e delle sue bellezze. Un gioiello senza eguali e senza rivali, ed è singolare che quest’aspetto le derivi dalla sua conformazione, una sorta di destino annunciato nascosto fra le pieghe delle lontane ere geologiche che hanno con pazienza modellato il suo territorio.
Di fronte c’è il mare, un ampio tratto di liquida seduzione che offre alla costa il sogno di un sud solare e pigro, denso di emozioni e di salsedine, un mare che invoglia a sciogliere le vele e navigare verso una promessa. Alle spalle le alture della Provenza, un crinale di montagne che sbarrano il passo ai freddi venti del nord. Fra i due giganti, il mare e la montagna, lei, la Costa Azzurra, una striscia di terra dove a ogni passo i colori mutano, i profumi cambiano, la visuale si trasforma. Nizza è un buon punto di partenza per cominciare a entrare nella pelle della Côte. L’interminabile Promenade des Anglais, il lungomare di Nizza, si allunga come un’arteria pulsante di vita: ovunque persone a piedi e in bicicletta che qui si danno convegno come per un madrigale, palme, alberghi e palazzi dalle sontuose facciate da Belle Époque e, fronte mare, le immancabili sedie blu, per non perdersi nemmeno una sfumatura di acqua e cielo. Il colore, in fondo, è il tema dominante di Nizza. In Place Massena fanno bella mostra di loro le gigantesche opere di Jaume Plensa, figure che al tramonto si ammantano di colori squillanti – rossi, verdi, gialli e blu che si esaltano e si accendono sulla caratteristica pavimentazione in mattonelle bianche e grigie – in Avenue Docteur Ménard il Museo Nazionale Messaggio Biblico di Marc Chagall, su quella des Arènes de Cimiez il museo di Matisse, mentre affacciato sulla Promenade des Arts c’è il MAMAC, il Museo di arte moderna e di arte contemporanea. Non c’è solo Nizza a tenere alto il blasone della Costa Azzurra per l’arte. A Antibes si trova il Museo Picasso mentre a a Cagnes-sur-Mer il Museo di Renoir. Alle spalle di Antibes merita una visita anche St. Paul de Vence, un piccolo centro abbarbicato su una collina che è stato per molto tempo un rifugio di artisti e dove ha soggiornato anche il visionario Marc Chagall. Non per nulla fra le case in pietra e le deliziose stradine trovano posto ben quaranta gallerie d’arte. Del colore, anche se molto altro ancora si potrebbe, s’è detto, ma a voi dice niente il nome di Patrick Süskind? Sì, lui, lo schivo autore de “Il profumo”. Questo straordinario romanzo, ormai un best seller internazionale, è ambientato guarda caso proprio in Costa Azzurra, nell’entroterra, a Grass precisamente, perché Grass è il paese del profumo per antonomasia. Difatti è qui si trovano alcune fra le più importanti aziende che producono profumi e qualcuna è anche possibile visitarla. Entrare in paese significa perdersi in un mondo olfattivo inebriante fatto di aromi, effluvi, essenze, fragranze. Un’esperienza del tutto nuova quella di visitare un luogo con un senso forse colpevolmente lasciato troppo da parte.  La regina della Costa Azzurra è però indiscutibilmente Cannes. La mondanità, il cinema, lo star system, il lusso, la stravaganza. Menzionare Cannes dimenticando il suo Festival sarebbe impossibile e la Croisette a maggio si trasforma in un palcoscenico unico al mondo. Infine St. Tropez. E se Cannes è una regina, St. Tropez è sicuramente una perla. Un piccolo borgo che guarda una baia dalle acque cristalline e un centro storico delizioso, un vero gioiello architettonico. Certo, il jet set internazionale ne ha fatto da tempo il suo luogo d’elezione, esclusivo, intangibile ai più, tuttavia St. Tropez ha un’anima anche molto diversa e l’atmosfera di tranquillità e ritmi lenti si avverte ovunque, basta cercarla senza lasciarsi intimidire troppo dai fasti della sua frenetica vita notturna. In fondo è proprio così che andrebbe vissuta la Costa Azzura, con leggerezza e curiosità.

La via della mimosa
Non solo mare e mondanità in Costa Azzurra. Questo è un itinerario un po’ diverso dal solito, più intimo e meno scontato per conoscere un territorio straordinario nel suo periodo migliore: la fine dell’inverno. La Route du Mimosa attraversa 8 comuni dei dipartimenti del Var e delle Alpes-Maritimes: Bormes-les-Mimosas, Rayol-Canadel-sur-Mer, Sainte-Maxime, Saint-Raphaël, Mandelieu-la Napoule, Tanneron, Pégomas e Grasse. Naturalmente è possibile e anzi consigliato fare qualche deviazione, ma fra borghi medievali e art nouveau non bisogna perdere di vista lei, la mimosa, il fiore che annuncia la primavera e che qui dipinge di un giallo squillante un’intera regione.

 

Salento. Il finis terrae d’Italia

“Attiguo a casa sua stava un palazzo moresco, denunciato dal salmastro, orientale, come un riflesso sbiadito. Scrostato sotto le volte degli archi e sulle cupole. Abitato l’inverno da Cristiani comodi che nell’estate pagana cedevano le due ali sul mare per non morire di fame. Proclamato la fine lo stato d’assedio, quel palazzo sarebbe diventato il quartier generale dei Turchi che di tra le viole del cielo assolato avevano ammainato le mezzelune.” Inizia così Nostra Signora dei Turchi, film ossessivo e geniale di Carmelo Bene, salentino, dove viene rievocata la presa di Otranto da parte dei Turchi di Maometto II nel 1480. E in qualche modo la vicenda racconta in modo emblematico la natura di questo straordinario lembo d’Italia. Non si arriva a capire il Salento, infatti, se non si comprende il rapporto a volte anche traumatico che questa terra ha avuto col mare. Porta d’Oriente veniva definita Otranto, e da questa porta sono transitati nei secoli tutte quelle tradizioni, usanze e costumi che fanno oggi parte integrante del tessuto culturale salentino. Il Salento è una striscia di territorio delimitata da una linea immaginaria che taglia metà della Puglia e che da Taranto arriva fino a Brindisi. Quasi totalmente pianeggiante eccetto i rilievi peraltro modesti delle Murge, la Penisola Salentina occupa per intero la parte meridionale del Tacco dello Stivale. Il mare si diceva, e il litorale fra Otranto, sull’Adriatico, e Gallipoli, sullo Jonio, è forse uno dei più belli d’Italia. Selvaggia, frastagliata, a volte scoscesa e costellata di grotte e anfratti, a volte aperta in piccole baie di sabbia finissima, la costa salentina è un piccolo pezzo di paradiso che ha alle sue spalle anche un entroterra ricco di suggestioni primordiali e paesaggi straordinari. E il Salento non ama le mezze misure. I colori sono saturi, intensi. Anche quando il mare si adagia sulla roccia calcarea, i verdi tenui sfolgorano come pietre preziose. Si respira insomma un sud carico d’oriente, di profumi speziati e macchia mediterranea che nella notte si addolcisce e diventa molle e sensuale come una quartina di Omar Khayyam. Otranto è splendida. Il borgo è attraversato da strade strette e tortuose in pietra viva che si snodano fra le case e sfociano inaspettatamente in spazi aperti e piazze; assolutamente da visitare è la Cattedrale che con la sua spiritualità imponente fa da controcanto alle severità del Castello Aragonese. I dintorni sono mozzafiato. Tra Punta Scuru e Capo Palascia, che nella denominazione ricorda l’ammiraglio turco Gedik Achmet Pascià, ci sono Porto Badisco, una delle più belle calette naturali della costa pugliese e le bianche spiagge di Alimini. A testimonianza della sua storia antichissima, precedente all’insediamento delle popolazioni messapiche, nei pressi si trova la Grotta dei Cervi, le cui volte sono istoriate da bellissimi graffiti preistorici. Altri luoghi imperdibili per una visita underground del Salento sono la Grotta delle Streghe, la Grotta Palummara e soprattutto la famosa Grotta Zinzulusa, tutte nel comune di Castro. Quest’ultima, che può essere visitata anche dal mare, deve il suo nome alla particolare conformazione delle sue stalattiti che somigliano a stracci appesi. Lecce più che una visita meriterebbe da sola un viaggio di meditazione. Le volute del suo straordinario barocco lasciano senza fiato soprattutto quando, al tramonto, il sole calante strappa riflessi aranciati dalla pietra calcarea. È all’esuberanza della sua architettura che il capoluogo salentino deve l’appellativo di Atene delle Puglie. Da vedere la città vecchia, la Basilica di Santa Croce e il Duomo, con il vicino Palazzo del Seminario e la sua straordinaria piazza. Da Lecce è facile dirigersi verso l’interno per puntare a Santa Maria di Leuca. Ed è un viaggio nel viaggio. Boschi secolari di ulivi, vigneti, piantagioni e, nel verde, la sorpresa di trovarsi di fronte il bianco candido dei Trulli, le tipiche dimore rurali simbolo e patrimonio storico-culturale di questa terra. Così, quasi inaspettata, si apre davanti agli occhi la visione di un altro mare e di un altro scenario. Un mare più blu e profondo, molto diverso da quello del Canale di Otranto. Una demarcazione che in particolari condizioni per un gioco di correnti risulta ben visibile dalla costa. Le numerose grotte che si aprono sulle scogliere della cittadina pugliese – le Grotte di Levante, quelle di Ponente, le Grotte di Rada – costituiscono da sempre una grande attrattiva per gli amanti del mare e della natura. Il senso che forse restituisce tutto il fascino di questo territorio di confine è però legato a un nome: De Finibus Terrae. È l’appellativo dato alla Basilica di Santa Maria quasi a suggellare il fatto che di lì in poi, oltre il mare, c’è un altro mondo, diverso sì ma anche suadente e misterioso. Un altrove su cui vigila la luce intermittente del grande faro di Punta Meliso.

Un esorcismo a passo di danza
La pizzica è una danza popolare tipica del Salento ma che anticamente era praticata in quasi tutta la Puglia. Le sue origini affondano nella notte dei tempi e si rifanno a una civiltà contadina che tradizionalmente sottolineava con musiche e danze i momenti più importanti della comunità (una nascita, il raccolto, il matrimonio). La pizzica ha però anche un risvolto più ancestrale. Nella sua forma “tarantata” detta anche Taranta, questo tipo di Pizzica serviva a esorcizzare e guarire le donne che si riteneva fossero possedute da uno strano male. Probabilmente il tarantismo altro non è che il retaggio di antichi culti dionisiaci e basta lasciarsi catturare dai suoi ritmi ipnotici per avere la sensazione di approdare in una dimensione temporale lontana sì anni luce dalla nostra quotidianità, ma mai completamente dimenticata.