Mondo in Blue – The Blue Panorama Magazine mag/giu 2012

Santorini. L’isola perduta dell’età dell’oro

La scena si svolge in Egitto. In una sala immensa sorretta da colonne gigantesche che ricordano nelle forme il papiro del Nilo, una corte attonita di dignitari e sacerdoti di Amon assiste al confronto fra un uomo vestito come un beduino del deserto e il loro faraone. Il sovrano è furente: non lascerà andar via la gente di quell’uomo; sciagure terribili si abbatteranno sull’Egitto, replica allora l’uomo del deserto. Poco dopo le acque del Nilo si fanno di sangue, le rane si riversano ovunque – in strada, nelle case, nei templi – mosche e zanzare non danno tregua; muore il bestiame, sui campi devastati dalle cavallette si abbatte la grandine e, infine, il giorno si fa scuro come la notte. La storia è raccontata nel libro dell’Esodo, l’uomo si chiamava Mosè e queste sono le famose “piaghe d’Egitto”, ma al di là delle credenze religiose è davvero tutta opera dell’intervento divino? Forse no, forse la ragione è un’altra. Verso la metà del II millennio avanti Cristo un’isola chiamata Thera al centro dell’Egeo esplode. È un cataclisma di dimensioni colossali: l’intera camera magmatica sotto l’isola si svuota proiettando nell’atmosfera una gran massa di roccia, cenere e lapilli e buona parte della superficie, priva di sostegno, collassa sul fondo del mare provocando un terribile tzunami con onde alte più di 60 metri. È noto che eventi di questo tipo provocano sconvolgimenti climatici per diversi decenni e alcuni studiosi pensano che le “piaghe” ricordate nella Bibbia e inserite nella vicenda di Mosè siano in relazione proprio con la fine di Thera. Oscuramento del sole a causa delle ceneri vulcaniche; stravolgimento dei cicli stagionali con un’alternanza di siccità e precipitazioni violente; alterazione dell’ecosistema del Nilo con una proliferazione eccessiva di alghe rosse tossiche che spingono le rane a cercare un altro habitat; moria del bestiame e aumento della popolazione di insetti nocivi. Insomma, una tragedia che rimarrà così profondamente incisa nella memoria dell’uomo che il filosofo Platone, più di mille anni dopo, la riprese per parlare di Atlantide, il continente perduto. D’accordo, ma cosa c’entra l’età dell’oro? Oggi Thera ha un nome diverso, si chiama Santorini e arrivando in aereo non sembra un granché: una grande falce scura che insieme a un’isola più piccola circonda un tratto di mare al cui centro sorge solitaria un’isola ancora più piccola. Tanto tempo fa però era tutto diverso, Thera era una grande isola e dove ora si rincorrono le onde spinte dal meltemi sorgevano palazzi splendidi e fioriva la grande civiltà minoica. E qualcosa di quell’antico splendore è rimasto. Ad Akrotiri, vicino alla celebre Spiaggia Rossa, si trova l’entrata del sito archeologico dove scavi piuttosto recenti hanno restituito un’intera città sepolta sotto strati di cenere, una sorta di Pompei cicladica. Fra i reperti riportati alla luce ci sono affreschi straordinari, e anche se la maggior parte sono custoditi al Museo di Atene uno in particolare vale la pena di menzionare. Raffigura un’isola verdeggiante costellata di sfarzose città; si vede anche una stupefacente rete concentrica di canali e corsi d’acqua che le mette in comunicazione col mare dove un numero incalcolabile di navi entrano e escono dai porti cariche di merci. È una civiltà ricca, raffinata e edonista quella che emerge dalla notte dei tempi: abiti splendidi, giochi acrobatici e un grande amore per la danza. Ma dopo la vittima, Santorini dà anche la possibilità di conoscere il suo carnefice. Si parte in barca dal vecchio porto. L’escursione si svolge al centro della Caldera. Thirassia, Palea e Nea Kameni sono isolette deliziose, la meta è però un’altra. Le chiamano Hot Springs e sono delle zone dove è possibile immergersi in acque marine caldissime alimentate da sorgenti sulfuree: è il respiro del vulcano. A Santorini ci sono però molti altri luoghi dove è piacevole prendere un bagno, tutte sul lato opposto della Caldera. Oltre alla già citata Spiaggia Rossa, si può scegliere fra Kamari, Monolithos, Perissa, Mesa Pigadia e Perivolos. L’ultima in particolare dà conto di un’altra caratteristica che Santorini condivide con Mykonos: l’essere celebre per i divertimenti del “popolo della notte”. Locali e discoteche aperte fino all’alba si trovano un po’ ovunque a Santorini, con una netta prevalenza per Thira, tuttavia prima di abbandonarsi alla sfrenata notte concedetevi un tramonto che non ha eguali al mondo. Fermatevi nel villaggio di Oia e prendete possesso di un tavolino in uno dei tanti bar che si affacciano sul dirupo. Ordinate un cocktail dai colori ambrati che sappia di nostalgia e aspettate. Se avrete avuto cura di aver scelto il periodo giusto, vedrete una sfera sfolgorante di rosso immergersi in mare e contemporaneamente sorgere una luminosissima luna piena. E quando l’orizzonte vi apparirà incontestabilmente curvo fate una cosa: brindate alla sapienza del vecchio Eratostene che tre secoli prima di Cristo aveva dimostrato la sfericità della Terra.

La cucina di Epicuro
In Grecia dovete mangiare a occhi chiusi e lasciare vagare la mente. Dovete richiamare alla memoria il vino di Samo o quello di Ismaro, immaginare di essere sulla nave degli Argonauti o vagare in compagnia di Odisseo. La cucina greca non ha una grandissima varietà ma è mediterraneo puro. I piatti hanno il colore e i profumi del sud: peperoni gialli e verdi, cetrioli, melanzane violacee, olio d’oliva, menta, rosmarino, origano, timo. Nonostante il mare, però, c’è una netta prevalenza di piatti di carne (maiale e agnello soprattutto) ma questa è storia antica: i Greci sono stati grandi navigatori ma non hanno mai amato il mare. Fra i più caratteristici le Dolmades, involtini di foglie di vite ripieni di carne e riso, la Moussaka, un pasticcio di carne macinata e melanzane, la Gyros Pita, carne di maiale accompagnata da pomodori, patate fritte, cipolle e una salsa allo yougurt, e i Souvlaki, spiedini di carne e verdure. Da non perdere i mezedes, gli antipasti a base di olive, acciughe, sottaceti e involtini di riso e le straordinarie salse greche, lo tzatziki e la taramosalata.

 

Verona. La città delle Muse

C’è un filo sottile che lega la città scaligera a Roma. Non è solo la presenza di un grande anfiteatro – l’Arena nell’una e il Colosseo nell’altra – è qualcosa di più impalpabile e emozionante e forse anche inatteso: è la poesia. Già, perché Valerio Catullo, il più grande poeta della letteratura latina Orazio permettendo, era proprio di Verona. Del resto l’amore struggente, la passione che divora e che tutto travolge fanno parte evidentemente del patrimonio genetico di questa città se anche un grande come William Shakespeare, in Giulietta e Romeo e ne I due gentiluomini di Verona, l’ha scelta per ben due volte come palcoscenico dei suoi lavori. La cosa non deve stupire perché Verona è davvero una città amata dall’arte. Un primo itinerario da seguire è quello che porta a scoprire la città romana. Dalla metà del I secolo avanti Cristo, Verona cominciò ad abbellirsi di splendidi edifici molti dei quali ancora visibili e perfettamente conservati. Furono costruiti teatri, templi, palazzi, acquedotti, ma il più celebre è senz’altro l’Arena dove ancora oggi si tengono gli spettacoli della stagione lirica. In piazza Bra si trova il Museo Lapidario Maffeiano, il più antico, dopo i Musei Capitolini di Roma, museo pubblico d’Europa che ospita una grande raccolta di epigrafi antiche e materiali scultorei di epoca romana. Seguendo il tracciato dell’antica via Postumia, oggi corso Cavour, si incontra la chiesa delle Sante Teuteria e Tosca del V secolo, una delle più antiche del Veneto, e si entra nel cuore di Verona da Porta Borsari, l’antico ingresso principale sul decumano. In fondo si apre la famosissima Piazza delle Erbe. In epoca romana qui sorgeva il Foro ma la sua vocazione non si è affatto diluita con i secoli e oggi si possono ammirare i grandi edifici medievali che la orlano: la Domus Mercatorum, le Case Mazzanti e la Torre del Gardello con uno degli orologi a campana più antichi d’Europa. Bella è la fontana di Madonna Verona fatta erigere da Cansignorio della Scala che riutilizza un’antica statua del I secolo e materiali delle terme romane, mentre pavimentazioni e fondamenta antiche sono visibili anche nella vicina Piazza dei Signori da dove si accede al Museo degli Scavi Scaligeri: un viaggio straordinario interamente nel sottosuolo della città. Più avanti c’è via Cappello con la Casa di Giulietta e il celeberrimo balcone, ma se si resiste ancora un poco alle sirene del cuore si possono scoprire un’antica domus del III secolo d. C. e la maestosa Porta dei Leoni del I inglobata in un palazzo del XIII secolo. L’alternanza fra epoca romana e medioevo è come si vede una delle caratteristiche peculiari di Verona. Più avanti si stende pigramente l’Adige, un serpente fluviale che ha sempre costituito l’arteria vitale della città. Oltre il Ponte di Pietra, e prima di piegare in direzione del Castello Scaligero e di San Zeno – uno dei capolavori del romanico in Italia – c’è il Teatro Romano venuto alla luce solo agli inizi dell’Ottocento dopo averlo liberato degli edifici che successivamente l’avevano letteralmente ricoperto. Sarebbe una buona idea continuare la passeggiata sul Lungoadige in bicicletta, si apprezzerebbe così un’altra particolarità di questa città: la forza. Fin dall’epoca romana, infatti, Verona era un punto nevralgico della difesa dell’intero territorio e le fortificazioni antiche sono state estese e ampliate fino a tempi recenti. Il Castello Scaligero ne costituisce uno splendido esempio ma più ancora lo testimoniano le numerose opere difensive realizzate dagli austriaci. Bastioni, fortezze, torri, casematte, caserme: un’imponenza che non contrasta in fondo così tanto con le pene d’amore di Catullo e Giulietta. Non è stato forse detto che Ares e Afrodite sono due facce della stessa medaglia?

Verona a tavola
Recita un proverbio veronese: “A ci no ghe piase el vin el Signor ghe cava l’aqua” (Dio tolga l’acqua a chi non piace il vino). Così se qualcuno nutrisse dubbi circa la vocazione vinicola di questo territorio è subito servito. Qualche nome giusto per farsi un’idea: Amarone, Valpoliccella, Recioto, Bardolino, Bianco di Custoza. E dove si beve bene si deve mangiar bene per forza. I piatti caratteristici, infatti, sono particolarmente ricchi e risentono degli echi della corte scaligera. In particolare a Verona si cucinano carni di anatra e di faraona accompagnate dalla tipica salsa chiamata “Peverada” fatta di brodo, spezie, burro, pangrattato e midollo di bue. Fra i primi piatti, imperdibili sono i Bigoli e gli Gnocchi di San Zeno, tradizionali nel periodo del Carnevale, e ottimi anche i formaggi (su tutti il “formaio embriago”, dal gusto piccante aromatizzato con vino Cabernet e Merlot). Quanto ai dolci, come si fa a non menzionare una celebrità che risponde al nome di Pandoro di Verona?