Mondo in Blue – The Blue Panorama Magazine lug/ago 2011

Magna Graecia Teatro Festival. L’estate calabrese si tinge di antico

Si racconta che quando Crotone e Sibari vennero alle mani, la differenza la fece la musica. Non l’ardire dei guerrieri, non il coraggio degli opliti, non il carisma dei comandanti. Sibari infatti era nota per la grande accoglienza e il favore che riservava alle arti, tanto che persino i cavalli erano più avvezzi a danzare che a lanciarsi alla carica. Su questo fecero conto i crotonesi per scompaginare l’esercito di Sibari: suonarono i flauti e i cavalli si esibirono. Sibari non venne più ricostruita. Al di là della rilevanza storica e dell’attendibilità, un aneddoto del genere la dice lunga sul livello di civiltà e di magnificenza raggiunto dalle città greche in terra di Calabria. Crotone non era da meno: è vero che i campioni di lotta e pancrazio che mietevano allori alle olimpiadi erano spesso di qui (famoso è rimasto Milone), ma va anche ricordato che è a Crotone che Pitagora di Samo rese celebre la sua scuola e che Stesicoro era nativo dell’odierna Gioia Tauro. Un tour storico-archeologico in Calabria insomma dovrebbe essere un appuntamento irrinunciabile per tutti gli appassionati. Per cominciare, Rhegion – oggi Reggio Calabria – con il suo museo che, oltre ai celeberrimi Bronzi di Riace, annovera così tanti tesori da essere noto in tutto il mondo come Museo Nazionale della Magna Grecia e che, dalle parti parti del lungomare, offre anche un tratto delle antiche mura. Ma d’estate, si sa, la storia e l’arte non sono tutto. Basterà allora ricordare che la Calabria, bagnata da due mari, Jonio e Tirreno, ha oltre 750 chilometri fra spiagge e coste e che all’interno ospita alcuni fra i più importanti parchi nazionali: il Parco del Pollino, quello dell’Aspromonte e il complesso della Sila. Ce n’è d’avanzo per una vacanza da sogno. Tanto più se si considera che i maggiori siti archeologici della Calabria, tredici in totale, ospiteranno tra luglio e agosto il Magna Graecia Teatro Festival. La mitologia, la storia, l’arte, la cultura, le tradizioni della Magna Grecia rivivranno infatti i loro fasti nei teatri e nelle arene calabresi che ospiteranno questa rassegna teatrale. Come nei viaggi di Ulisse, lo spettatore potrà visitare i tredici siti del Festival, dove ancora oggi si respira l’aria di più di due millenni fa, quando gli odierni siti archeologici erano il centro dell’avanguardia culturale del tempo. Il Parco Scolacium, il sito archeologico di Roccelletta di Borgia, che ospita strutture di epoca romana sovrapposte a strutture murarie di origine ellenica, l’antica Skylletion. Il parco archeologico di Sibari con il Teatro di Cassano allo Jonio e la sua antica cattedrale. Crotone possiede poi uno dei siti archeologici più famosi di tutta la Magna Grecia: perfettamente visibili le otto aree tra cui il celebre Capo Colonna, l’antica Kroton, Vigna Nova, Vrica e Stuni. Il parco di Cirella ospita invece il teatro dei Ruderi, che ricalca lo stile greco, pur essendo una costruzione recente, realizzata tra il 1994 e il 1997. Lamezia Terme ospita uno dei siti più ricchi di tutta la Calabria. Il parco archeologico comprende i resti dell’abitato di Terina e gli imponenti ruderi dell’Abbazia Benedettina di S.Maria di Sant’Eufemia. Vicino Monasterace, centro reggino sul Mar Jonio, sorge il parco archeologico dell’antica Kaulon. Il Tempio di Marasà ospita il teatro del parco di Locri Epizefiri. Poi c’è Palmi che si affaccia sul Mar Tirreno e dove sono stati trovati recentemente i resti di un’antica città romana tra cui il teatro più grande di tutta la Calabria. Infine le aree archeologiche di Reggio Calabria situate all’interno della città. La struttura più imponente è il Castello Aragonese, fortificazione le cui basi hanno origine antichissima risalente ai Calcidesi (VII secolo a.C.). L’area antistante il Castello ospiterà una delle location del Magna Graecia Tea-tro Festival. L’altra sarà l’Arena dello Stretto, teatro all’aperto costruito recentemente nel complesso del Lungomare Falcomatà. Imperdibile è il teatro di Torre Marrana la struttura teatrale, che più d’ogni altra, incarna la sensibilità architettonica della nostra Magna Grecia. Nei pressi di Rosarno sorge l’antica Medma, fondata dai Locresi alla fine del VI secolo a.C. Da Medma proviene Filippo di Medma, discepolo, amico e segretario personale di Platone. Altra colonia Locrese, l’antica Hipponion sorge nei pressi di Vibo Valentia. Nel 422 a.C. la città si ribellò e sconfisse la stessa Locri. In seguito si unì ad altre città magnogreche della Lega italiota nella guerra contro i Siracusani guidati dal tiranno Dionisio e appoggiati da Locri. Ultima, ma non ultima, Casignana, comune della Locride che fa parte della Costa dei Gelsomini. La Villa di Palazzi di Casignana, databile dal I al IV sec. d.C., è uno dei complessi più importanti di epoca imperiale romana dell’Italia Meridionale.

La parola alla Regione
“Il Magna Grecia Teatro Festival è una rassegna teatrale itinerante che tocca tutta la Calabria dalla costa jonica, a quella tirrenica, dai piedi del Pollino fino allo stretto. È un evento che ha l’obiettivo di rendere vitali alcune fra le più belle aree archeologiche della Calabria, siti che spesso neanche i calabresi conoscono e che, attraverso questo evento, vengono animati e fatti conoscere anche ai turisti.” Giuseppe Scopelliti, Presidente della Giunta Regionale della Calabria
“Quest’anno per la prima volta abbiamo programmato l’evento per tre anni, in modo da dare stabilità all’iniziativa e rafforzarla. L’obiettivo è quello di realizzare un Festival di livello internazionale per imporsi nel panorama degli eventi estivi al pari delle analoghe manifestazioni culturali italiane e europee.” Mario Caligiuri , Assessore alla Cultura della Regione Calabria

 

Quando la matematica dà i numeri. Aneddoti e stranezze nel regno della regina delle scienze

È notte fonda. La camera è illuminata solo dalla luce tremolante di alcune candele. Curvo sul tavolo, un giovane dai lunghi capelli neri scrive pagine su pagine. Il pennino corre veloce, scricchiola sulla carta per lo sforzo. Non è una lettera d’amore. O forse sì, in qualche modo lo è. Lui è Évariste Galois, ha solo vent’anni e all’alba sarà morto. A questo punto dovrebbero partire i titoli di testa, ma questa non è finzione cinematografica, è realtà, anche se poi un film così è stato girato davvero. Quella notte, in poche ore, il giovane Galois fece fare un balzo enorme all’Algebra astratta introducendo la nozione di gruppo e ponendo le basi della Teoria dei Gruppi. Galois muore a Parigi la mattina del 31 maggio 1832 durante un duello. Non è chiaro se la vicenda abbia avuto origine a causa di una donna o delle sue idee politiche, fatto sta che quel giorno un proiettile stronca la vita di un enfant prodige della matematica. Al di là del valore scientifico e culturale dell’opera di Galois, vale la pena soffermarsi su un aspetto: il mondo della matematica e dei matematici non sempre è quell’atmosfera polverosa e ovattata che immaginiamo. Spesso è invece un mondo fatto di passioni bollenti, gioventù bruciate, ripicche e invidie fra personaggi molto poco accademici, botte da orbi e diversi aneddoti anche molto divertenti. Dimenticate insomma il macilento e bruttino imbranato dagli occhiali coi fondi di bottiglia, qui siamo al cospetto di vite da romanzo. I primi a dare il “la” sono, manco a dirlo, loro, i greci. Al tempo di Pitagora i matematici costituivano una casta chiusa e rispettata, erano vincolati al silenzio, odiavano le fave e conoscevano solo i numeri razionali, ovvero i rapporti fra numeri interi. Un tale, Ippaso, giocherellando con la diagonale dei quadrati scopre che non è così: esistono strani numeri che verranno poi chiamati irrazionali. Pitagora s’arrabbia, vuole mettere tutto a tacere per evitare lo scandalo; Ippaso non ci sta e viene pare affogato. Un giallo è anche l’Ultimo teorema di Fermat. Il tema è l’inesistenza di soluzioni intere positive per l’equazione an + bn = cn eccetto che per n=2, dove di terne a, b e c ne esistono infinite (sono le così dette Terne Pitagoriche, ancora lui). Ha quasi il sapore di una burla, ma il matematico francese scrive ai margini di un libro “Ho trovato una brillante dimostrazione, ma non posso scriverla qui per mancanza di spazio”. I matematici si dannano l’anima per secoli per trovarla. Viene istituito anche un premio in denaro: 50.000 dollari. Niente. Fino al 1995, quando Andrew Wiles ci riesce e intasca la somma. Basta? Forse no, ma la prossima volta che vi dicono che la matematica è noiosa domandate: “Sai niente della congiura degli irrazionali?”

Formule di celluloide. La matematica su grande schermo
Di Évariste Galois si è già detto. Il film si intitola Non ho tempo, il regista è Ansano Giannarelli. Più noto, se non altro perché interpretato da un grande Russell Crowe, è A Beautiful Mind, film di Ron Howard sulla vita del matematico e premio Nobel John Nash. Morte di un matematico napoletano è invece il bellissimo film di Garrone sulle tragiche vicende di Renato Caccioppoli. Di taglio decisamente diverso è invece Le mie notti sono più belle dei vostri giorni, di Andrzej Zulawski, storia dell’amour fou fra un genio dell’informatica e un’avvenente fanciulla. Last but not least, Pi Greco, il teorema del delirio, del visionario Darren Aronofsky. Film ossessivo e coinvolgente sostenuto da una grandiosa colonna sonora (Massive Attack e Orbital, fra gli altri) e girato in un superbo bianco e nero. Bello e premiatissimo.

 

Lampedusa e Pantelleria. Profumi d’Africa

Per raccontare Lampedusa bisognerebbe partire da un cavallo. Un cavallo? E che ha a che fare un cavallo con un’isola che a giudicare dalla sua natura rocciosa e assolata a tutto potrebbe far pensare tranne che ai cavalli? Eppure un cavallo c’entra, è bianco, imponente, ed è soprattutto il cavallo di Orlando. Ne parla Ariosto ne “L’Orlando furioso” ambientando una sfida sanguinosa fra cristiani e saraceni proprio a Lampedusa. E la cosa doveva sembrar strana anche ai contemporanei di Ludovico, se un capitano di una nave genovese accusa Ariosto di scrivere solo fanfaluche visto che lì, a Lampedusa, un cavallo non potrebbe nemmeno posare gli zoccoli. I lampedusani invece amano le storie di fantasia a tal punto che non solo nell’isola esiste una Torre di Orlando e un’orma attribuita al paladino di Carlo Magno, ma anche una zona chiamata ancora Contrada Cavallo Bianco. Può apparire singolare che Lampedusa, terra quasi più vicina all’Africa che all’Italia, sia depositaria di una delle tradizioni siciliane più autentiche, l’Opera dei Pupi, ma a pensarci bene è proprio in questa terra di mezzo che i vari Rinaldo, Brandimarte, Rodomonte, Agramante e Gradasso potevano incontrarsi. Lampedusa è ancora un’isola dove si avverte forte la mescolanza delle culture, l’incontro fra genti diverse. Le tradizioni, la lingua, la musica, persino i piatti della cucina locale lo testimoniano. Il collante di tutto, il denominatore comune che li unisce è lì, onnipresente: è il mare di Lampedusa. Al mare Lampedusa deve tutto, e il mare diventa la tavolozza magica e mutevole che dà senso alle cose. I colori dell’acqua e del cielo si fondono in una gamma impressionante di verdi, turchesi, cobalti; faraglioni e scogliere si alternano a calette dalla sabbia bianchissima dove si riproducono, come all’Isola dei Conigli, le Caretta Caretta. Cala Pulcino, Cala Madonna, Porto N’Tone, Cala Croce, Cala Francese e Cala Maluk sono solo alcuni dei luoghi imperdibili di Lampedusa, ma forse la cosa che fa capire meglio il legame fra Lampedusa e il mare è il marrobbio. Il marrobbio è un fenomeno naturale che si verifica solo qui, fra aprile e maggio e ancora fra settembre e ottobre: il cielo diventa color latte, il vento cade e il mare si ritira improvvisamente come se volesse risucchiare l’isola; poi torna, e l’acqua sale di almeno un metro invadendo le strade del porto. Nessuno sa perché questo accada. E la natura è la regina incontrastata anche di Pantelleria, l’altra isola siciliana che parla una lingua d’Africa. Qui i fenomeni che hanno a che fare col vulcanismo sono nell’ordine delle cose. Sorgenti d’acqua calda, getti di vapore, fanghi termali e grotte erano ben conosciuti fin dal tempo dei Fenici. Di appellativi Pantelleria ne ha tanti: la montagna, Bent el Rhia – l’isola del vento, la Perla Nera del Mediterraneo. Ciascuno però sottolinea a suo modo il tratto caratteristico dell’isola: una personalità forte e prorompente ricca di sfaccettature, dove il verde cupo della vegetazione si scontra con l’azzurro del mare, l’architettura araba dei Dammusi con quella spagnola, i profumi pungenti dei capperi e delle olive con la dolcezza dello zibibbo. Pantelleria è insomma un microcosmo tutto da scoprire. Il mare soprattutto, con quei nomi che fanno sognare notti stellate e lune saracene: Cala Gadir, Karuscia, Kattibuali, Punta Fram, la Balata dei Turchi. E dopo aver assorbito sole e sale per buona parte del giorno, è bello riparare nel fresco ristoratore degli agrumeti e delle pinete, respirare l’aria che sa di lentisco, mirto e corbezzolo, perdersi nella luce ambrata del Passito che illumina suggestioni oltre mare che lì, a un passo, separate da un breve braccio di mare, descrivono carovane nel deserto e venti di sabbia. Quasi una promessa di felicità.

O’scià. Nessun uomo è un’isola, ogni respiro è un uomo
Da otto anni Lampedusa è anche sinonimo di isola della musica. La prima edizione dello O’scià si è tenuta nel 2003 e parlarne solo come evento musicale è sicuramente riduttivo. Il progetto originale avviato da un’idea di Claudio Baglioni, infatti, intendeva sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema dell’immigrazione e sui drammi che troppo spesso l’accompagnano attraverso una serata musicale sulla spiaggia della Guitgia. Il grande successo dell’iniziativa ha fatto sì che anno dopo il progetto crescesse, coinvolgendo un numero sempre maggiore di artisti e trasformando lo O’scià in una tre-giorni di musica e solidarietà dedicata al tema dell’incontro fra culture. Un appuntamento che per qualità e valore è diventato ormai imperdibile e che anche quest’anno si annuncia come un grande evento di livello internazionale.

 

Granada. La città perduta all’alba del Nuovo Mondo

In Sierra Nevada, lungo il percorso in direzione del mare, c’è un punto da cui è possibile abbracciare con uno sguardo tutta Granada. Si chiama Sospiro del Moro e si dice che proprio qui re Boabdil, l’ultimo sultano di Granada, prima di dirigersi verso la costa e imbarcarsi per l’Africa, disse addio alla sua città, l’ultima roccaforte araba in Spagna. Era il 1492, i regni di Aragona e Castiglia di Ferdinando e Isabella avevano completato la reconquista e un genovese di nome Cristoforo stava per consegnare l’Europa a una nuova era. Tutto era cominciato molti secoli prima, quando gli arabi sbarcarono ad Algeciras e la regione con Granada, Cordova e Siviglia fu battezzata col nome di al-Andalus, Andalusia. Granada è forse la città spagnola dove più che in altre si respira l’atmosfera di paradiso perduto, di città della memoria, che i regni arabi di là del mare hanno vagheggiato per moltissimo tempo. Del resto qui siamo nella parte più meridionale della penisola iberica, coste da dove sembra sufficiente stendere un braccio per sorvolare il mare e unire con un ponte due continenti. L’amalgama di stili e culture diverse a Granada è palpabile, a cominciare dall’Alhambra. L’Alhambra è una città nella città; non è un monumento o un edificio, è un complesso architettonico e funzionale autonomo che in arabo prende il nome di Medina e che occupa quasi per intero la collina di Sabika. Le prime costruzioni risalgono all’XI secolo, con l’Alcazaba – la zona fortificata – e le torri di sorveglianza. Il suo massimo splendore lo conosce però alla fine del ’300, periodo nel quale l’Alhambra si arricchisce di terme, moschee, residenze private, scuole, botteghe e negozi. È l’emblema superbo della raffinatezza raggiunta dall’arte moresca tanto che, insieme al vicino complesso del Generalife, l’Alhambra è stata dichiarata Patrimonio Culturale dell’Umanità dall’UNESCO. È stata proprio la sua bellezza a consentire all’Alhambra di arrivare fino a noi. I regnanti di Spagna, infatti, dopo la consegna di Granada da parte degli arabi l’hanno subito eletta a loro residenza impedendo di fatto che venisse demolita. I segni del passaggio di sovranità sono evidenti creando quel connubio unico fra stili diversi che l’hanno resa così celebre, come nel Patio de la rejna o nel Palazzo di Carlo V, oggi sede del Museo dell’Alhambra e del Museo delle Belle Arti di Granada. Oltre al già citato Generalife, con i suoi splendidi giardini di concezione araba, da vedere è sicuramente il quartiere Albaicín, caratterizzato da tortuose viuzze, cortili alberati, terrazze e fontane; pare che nel momento di massima ricchezza della città, il quartiere ospitasse ben 26 moschee. La visita alla parte vecchia di Granada non può prescindere da una puntata all’hammam di El Banuelo, i bagni arabi meglio conservati di tutta la Spagna, e una passeggiata alla zona del Sacromonte, il quartiere dei Gitani. La città ha anche una zona nuova estremamente interessante. Sulla Gran Via de Colon, che è anche meta privilegiata per lo shopping, si trovano la Cattedrale, la Cappella Reale e il Palazzo de la Madraza; più oltre, verso Calle Reyes, meritano una visita l’Alcaceria e il Corral del Carbon.

Alicante. Movida mediterranea
Alicante è la gemma della Costa Blanca. Animata da una frizzante vita notturna, la località valenciana è una meta frequentatissima dal turismo giovanile. Alicante è situata al centro di una grande baia, e le sue spiagge dorate chiuse dai monti, Playa de San Juan, Postiguet e Urbanova, sono famose in tutta la Spagna. La Explanada de España, con le quattro file di palme e il lastricato in marmo rosso, è il salotto buono della città mentre al porto e nella zona vecchia, a El Barrio, è tutto un susseguirsi di locali, bar e pub aperti fino a tardi dove è possibile trascorrere piacevoli serate. Alicante non è però solo mare e night, la sua è una storia antica e molte sono le attrattive degne di nota. Bellissimo è il Castillo de Santa Bárbara, una fortezza di origine araba che dalla sommità del monte Benacantil domina tutta la zona. L’edificio è stato poi rimaneggiato nei secoli successivi per adeguarne le difese alle esigenze dell’architettura militare rinascimentale, ma il suo fascino è rimasto intatto. Da vedere sono anche la Cattedrale di San Nicola, il Municipio, la Chiesa di Santa Maria, il parco de El Palmeral e la desertica isola di Tabarca, un tempo rifugio di pirati, oggi riserva naturale e faunistica.