Trielina

London, Couple – 2015 photo by Marco Valente

Io e lei. Io, lei e questa stanza appena rischiarata dai neon dove la luce del giorno non entra mai. Io, lei e queste pareti chiare che hanno visto e sentito troppo e per troppo tempo. Io e lei. All’inizio, quando ho cominciato, ho pensato che in fondo fosse proprio questa la mia dimensione. Quella più giusta. Quella più adatta. Non ero bella, non ero intelligente, non ero brillante, non ero figa. Ero Wanda. Wanda e basta. Wanda la grassa. Wanda l’ottusa. Wanda a cui non vale la pena sollevare la gonna. Wanda che chi sa se lo trova uno col coraggio di chiavaserla. Wanda la buona a nulla. L’apostrofo pietoso sulle sopracciglia di mio padre quando rientrava dal turno in fabbrica. Così mi sono rinchiusa qui e non esco mai. Perché dovrei poi? Cosa c’è fuori che qui dentro non posso avere? Un uomo che mi allarga le gambe grugnendo una volta alla settimana? I fornelli da pulire? La cena da preparare? I figli da accudire? Cosa? Qui almeno ho un mondo regolato. Wanda ti prego, è il cappottino buono… Wanda, un miracolo, mi serve un miracolo, se lo scopre mia moglie è un casino. Wanda, non so come è potuto succedere, l’ho preso ai saldi e mi sta da dio: riesci a toglierla del tutto? E io mi ergo a giudice. Valuto, controllo, soppeso e poi emetto la sentenza: torna tra tre giorni e l’avrai come nuovo. Perché io non dico mai di no a nessuno, a tutto c’è rimedio, ogni cosa può tornare a essere quello che era prima. Poteva. Fino a questa sera. Questa sera è arrivato un capo macchiato di sangue. Una camicia bianca come la neve con un corrivo grumoso color del vino. Lui aveva gli occhi gonfi di pianto rappreso e me l’ha porta come una reliquia. Era di mio padre, ha detto, si è sparato in testa col fucile da caccia in cucina davanti a un piatto di broccoli saltati in padella con aglio e peperoncino. L’ho trovato così, con le cervella che galleggiavano nell’olio. Non ho mai capito niente dei suoi silenzi, dei suoi sorrisi strinati, di lui mi è rimasta solo questa camicia. Puoi smacchiarla Wanda? Sì, posso farlo. Il sangue non è diverso dalle patacche di gelato di cioccolata, dalle sbavature di rossetto sul colletto, dalle geografie incerte della salsa di pomodoro. Posso farlo. L’ho fatto. Domani puoi ritirare la tua camicia inamidata, la tua camicia nettata di macchie, vergine. Ma io non ci sarò. Questa è stata l’ultima macchia. Ho capito finalmente. Nessuno può varcare il limite che l’esistenza gli ha assegnato e io quel limite l’ho superato proprio questa notte. Una vita spesa a riassettare vite, a cancellare incidenti di percorso, a coprire sbandate.  Esistenze che varcano la soglia di questa tintoria con l’idea di cancellare un inciampo, di dimenticare l’attimo in cui forse quell’imprevisto ha ammantato di colore la loro consolidata normalità. Ho cancellato troppo, non posso farlo oltre. E questa sera, io e lei, che ci conosciamo da una vita e ci siamo guardate senza vederci per tutto questo tempo siamo arrivate al capolinea. Io e lei. Io, lei e nessun altro. È davvero strano come quello che non hai mai capito e su cui ti sei lungamente interrogata senza costrutto giunga a un certo punto a un tale grado di consapevolezza da farti credere che la tua vita precedente sia stata solo costipata finzione. Tu ed io in questa notte senza luna. Tu ed io. E così capisci che tutte quelle vite deviate, quegli imprevisti, quelle occasionali deroghe a una linearità lungamente perseguita le hai assunte tu, tu le hai recluse nel tuo corpo sformato, ingoiate come Kronos i suoi figli. E che ora è il momento di consegnarle a quel nulla da cui sono state partorite. Basta bere. Un lungo sorso da quel liquido chiaro e dall’odore pungente per togliere tutti i peccati del mondo. Tutti quelli che in questi anni mi sono stati affidati.